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Una poesia ci curerà

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Abbiamo un disperato bisogno di poesia.  Dovremmo prenderne ogni giorno ad alti dosaggi. La poesia non può essere una droga, bensì una  medicina, un rimedio allo squallore e alla tristezza di questi tempi bui. Cosa c’è di meglio allora di un poeta di professione infermiere?

 Anche se molti di voi detestano la poesia, legandola a ricordi scolastici o a incontri sbagliati nel momento sbagliato, in me continua a suscitare emozioni. E mi capita ancora di scoprire (anche se raramente) un libro in versi di uno sconosciuto nel quale si intravvede un futuro artistico e una vena di ottimismo.

 

 Non mi aspetto che corriate a comperare “Rumore a sinistra” (Incontri Editore), la raccolta appena uscita del fioranese Stefano Serri, ma permettetemi di consigliarla e, caso mai, di spingervi a cercarla in libreria o in biblioteca. Certo, non tutto quello che ho letto mi è piaciuto e non tutto mi è chiaro, ma dai suoi versi mi sono arrivati lampi di luce e di bellezza e slanci lirici.

 

 

 

 

 

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 Quando mi sono trovato di fronte a questo scrittore 31enne, mi sono reso conto che la sua esperienza personale gli aveva permesso di scavare in profondità in una ricerca artistica che non era nata ieri.

 Stefano Serri è un infermiere del servizio domiciliare dell’Ausl. Segue persone gravemente malate o terminali. La sua è una scelta di vita fatta da giovane che accetta con grande serenità:  “Molto prima di studiare al liceo Formiggini – mi racconta – sognavo di fare tre cose diverse: l’infermiere, lo scrittore o il frate.  I primi due li sto facendo, il terzo per ora non interessa più; forse in un giorno lontano…” Dopo il liceo Serri ha preso il diploma universitario in infermeria e si è anche laureato al Dams. A vent’anni ha riscoperto la passione per la scrittura e in particolare per poesia, con una maturità che prima non conosceva. Oggi è alla sua quarta raccolta di poesie (più tre romanzi pubblicati).

 Non deve essere facile scrivere versi dopo una giornata di lavoro immersi tra il male e il dolore.

 “Il mio lavoro ha anche aspetti positivi – mi spiega – può essere un’occasione per incontrare persone, conoscere la loro storia. Sto otto ore con loro e ho tempo di ascoltare e pensare alle parole e anche di creare versi nella mia mente. Quando ho finito, a casa, ci lavoro sopra”.

 “Al male pensi per forza dando una risposta personale, diversa da quella del tuo collega. Questo è un lavoro che toglie i falsi bisogni; ti fa vivere su un altro pianeta rispetto ai coetanei”.

 

 

 La poesia di Serri è fatta di versi brevi e apparentemente facili, scorrevoli. In realtà, le parole sono misurate e concatenate come in un filo di perle che racconta una storia sotto quella di cui sta parlando. Ma te ne accorgi solo dopo, all’improvviso. Il titolo della raccolta, ad esempio – “Rumore a sinistra” – non è solo  una metafora politica su un ipotetico fermento della sinistra italiana, ma è anche il battito del cuore. E si riallaccia alla precedente raccolta: “Una fede rossa”. Le stesse poesie politiche, nelle quali non nasconde le sue simpatie per la sinistra di un tempo, sono metafore di un sogno etico che oggi non c’è, ricordando Brecht e Pasolini: “Non mi sento un comunista o un attivista in senso classico. Mi interessano la partecipazione più che le vicende dei partiti, la dimensione di comunità, lo stare insieme, il contatto, i punti in comune. Come nella poesia”, mi spiega.

 

 La sua è anche una poesia che parla della vita quotidiana, di concretezza, di piccoli problemi, di se stesso, senza essere autoindulgente.

 “Se non scrivessi – racconta in modo disarmante – non so se ci sarei. Non mi penserei vivo. Per me, la poesia è un modo per vivere”.

 “Non mi preoccupa la scrittura in sé. Non penso mai alla poesia in un senso troppo elevato. Mi interessa il verso, la composizione, il libro. Ogni libro è in sé un’occasione. La poesia, per me, significa dare alle cose un’unità che nella vita concreta non c’è o ha tempi diversi. La poesia è una tavola che parte da me per arrivare agli altri in uno scambio di esperienze. Ma le parole e i versi non esprimono solo un’esperienza, come per la cronaca. Nei casi migliori sono una testimonianza, un trovare punti che uniscono agli altri”.

 

 Da questo punto di vista, la poesia di Serri è una cura dalla solitudine di quest’epoca e da un dolore che è una condizione universale ma che percepiamo individualmente. E, a differenza di tanti altri scrittori, Serri mostra una vena ottimista. I suoi versi contengono anche gioia e entusiasmo. Dal dolore si esce con nuovi legami, pare dirci, e questi legami possono essere ampliati per costruire qualcosa di nuovo.  Quando prende la spinta, la sua lirica spicca il volo e arriva in alto.

 

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Ecco l’ultima poesia di questa raccolta.

 

 

 

 

 

CONGEDO

 

Vorrei, mentre ascoltate questi  versi, pulirvi,

lasciarvi un solco pronto per i semi

e tutto il vostro essere sudati dalle cose

schiarito da un attuale: “Siamo nati:

la nostra vita è vera!” e poi come la pagina

sembra interrotta, eccovi non avere fretta

e non badare alla fine del canto di parole -

c’è un altro canto, fatto dal rumore

che dà il cuore mentre il mondo tace.

Vorrei tenere ultimi qui i versi

del sollevarvi, curvarmi io solo in estasi

di comunione con i vostri piedi:

lasciatevi coprire dalla grazia

di esserci incontrati, uniti fino a fare

venire fuori i bordi al nostro volto in Due.

1.6.2011


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